31/01/12

Padre Padrone Padreterno di Joyce Lussu

Dire che dovremmo solidarizzare perché abbiamo una vagina è un'insensatezza, perché prescinde da ogni collocazione storica e politica.

Che la piccola e media editoria debba sopravvivere ai colossi  è litania che vado spesso recitando, unitamente all'invito ad acquistarne i libri, anche perché spesso forieri di idee altre rispetto al pensiero dominante. Onore al merito, dunque, della piccola gwynplaine edizioni che nel 2009, a due anni dalla sua nascita, ha avuto il coraggio di ripubblicare Padre padrone padreterno, breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, di Joyce Lussu, uscito nel 1976 presso l'editore Mazzotta. Già il nome dell'autrice, scomparsa nel 1998, probabilmente non dirà molto ai più. Eppure, Joyce Lussu ha contribuito in prima linea a scrivere una pagina fondamentale della storia italiana: partigiana combattente, anche mentre era incinta, fu promossa capitano e insignita di medaglia d'argento al valore militare, una medaglia di cui pretese l'assegnazione con pubblica ceremonia, con tanto di plotone d'onore, presentat'arm, banda militare, presenza del generale comandante e delle autorità civili, di fronte ai quali sfilò vestita di rosso, trionfante anche su quelle stesse autorità militari che avrebbero voluto recapitarle la medaglia a casa, senza  cerimonia alcuna.
                         Joyce riceve la medaglia d'argento al valore militare. Foto da enciclopediadelledonne.it

Donna di tempra e carattere, esempio di un femminile anni luce distante dalle costruzioni melense di quest'epoca di restaurazione, che insiste nel disegnare un immaginario tutto pizzi, profumi e balocchi, di retriva marca primo-ottocentesca.
Il che, forse, in parte spiega l'oblio che avvolge non solo un'autrice scomoda, ma anche un libro  fastidioso per molti, perchè al racconto in prima persona delle vicende della Resistenza si mescolano le riflessioni di chi scrive sulla progressiva e subdola involuzione della società italiana, anche e soprattutto a causa di una sinistra vigliacca, egoista e  incapace.
Dunque la Lussu, a partire da sé e dalla sua esperienza, si chiede come è stato possibile che, dopo la Resistenza, rigurgiti fascisti abbiamo continuato ad affascinare la borghesia, con il puntellamento della chiesa cattolica, mentre la sinistra si affanava a conciliare la bandiera rossa con l'olio santo, realizzando questa conciliazione in primo luogo sulla pelle delle donne, allontanate dalla politica nonostante il loro contributo alla Storia, nel tentativo di rassicurare l'ala cattolica circa possibili disgregazioni dell'istituto familiare.
Il primo ventennio dopo la Liberazione, ci informa la scrivente, non è  favorevole ai giovani e alle donne (e perché, oggi?), ma nelle sinistre le direzioni dei partiti e dei sindacati viene delegata ai padri della patria e i giovani vengono trattati con paternalistica accondiscendenza e non viene concessa loro nessuna autonomia. [...] Dio, Patria e Famiglia è ancora il motto della Repubblica che dovrebbe essere fondata sul lavoro e sull'antifascismo e i dirigenti socialcomunisti si affannano a dimostrare, senza peraltro convincere affatto i loro avversari, che non sono dei senza-Dio, senza-Patria e senza-Famiglia. A distanza di trentasei anni, queste parole dovrebbero offrirci qualche lume circa la disfatta e la scomparsa della sinistra italiana, oggi totalmente fagocitata e asservita a quella destra dal cui immaginario non ha saputo prendere debitamente le distanze.
Ma le critiche della  Nostra non si fermano ai dirigenti socialcomunisti che, invece di fornire alle donne, come sarebbe stato loro preciso dovere, gli strumenti e gli spazi del fare politica, le hanno di nuovo allontane, nel timore che venisse a mancare il piatto caldo di maccheroni sul tavolo e le mutande fresche di bucato nel cassetto. La Lussu  lamenta, infatti, anche le mancanze del femminismo, biasimando  la sua incapacità di collegare la lotta di classe alla questione femminile e  sottolineando che le donne non sono tutte uguali, ma che, sin dall'antica Roma, è esistita una differenza di classe.
Da tale constatazione muove una breve rassegna storica mirante a rimarcare l'abisso che da sempre ha separato (e continua a separare) le donne che occupano i gradini più alti della scala sociale e quelle che stanno in basso. Così, come le matrone non avevano alcuna solidarietà per le schiave, ma anzi erano fervide sostenitrici della schiavitù, perché questa consentiva loro di mantenere i propri privilegi, analogamente, in tempi recenti, con l'avvento dell'industrializzazione,  le associazioni femminili si sono impossessate del movimento femminista per distoglierlo dalla lotta proletaria, dando in questo modo un valido aiuto alla stabilizzazione dell'assetto capitalistico. Come anche sosteneva la sociologa Gladys Meyerand a proposito della lega americana dei sindacati femminili le donne delle classi superiori entrano nei sindacati per dirigerli ai loro fini, che sono puramente educazionali e filantropici; assicurano alcuni benefici alle operaie per impedire qualsiasi mutamento essenziale del loro status.
Nella scissione tra lotte delle donne e lotta di classe, nella dismissione di una prospettiva storica e politica del movimento, la Lussu coglie la dannosità del femminismo broghese per le donne stesse, per lo meno per le operaie e per quelle categorie di donne che prima si chiamavano schiave, villane, streghe. E adesso?
Fenomeni di massa come il comitato Se non ora quando o le politiche del lavoro di una ministra Fornero sono evidenti conferme dell'analisi di Joyce Lussu: dietro un'attività vagamente educazionale e filantropica nel primo caso,  o la retorica del lacrime e sangue nel secondo, si nasconde il comune intento  a  tutelare se stesse all'interno di uno status quo che non viene sostanzialmente modificato, se non per ribadire le divisioni di classe.
E allora, giova ancora oggi ripetere che avere una vagina non è elemento di per sé sufficiente alla sorellanza, ma solo il femminismo che si inserisce nella lotta di classe e prende posizione, non genericamente contro tutti gli uomini in nome di tutte le donne, ma storicamente contro una parte di uomini e di donne in nome di un'altra parte di donne e uomini, introduce in questa lotta un elemento potente di stimolo e di chiarimento.
Già nel 1976, la Lussu sosteneva (e oggi io lo sotengo con lei) che il femminismo borghese (lo stesso di una Marina Terragni e di quasi tutto il movimento SNOQ o almeno del suo vertice, per intenderci) è un aspetto del riformismo e viene usato dal capitalismo avanzato per integrare la donna nei suoi meccanismi; operazione non difficile, soprattutto quando le femministe fanno del sesso l'epicentro di tutti i loro problemi, senza toccare quelli economico-produttivi.[...] E' il tema di moda nei ricevimenti delle signore dell'alta borghesia, che vi trovano la teorizzazione esplicita delle autonomie di cui hanno sempre goduto di fatto e l'attualizzano con le richieste di un "lavoro", come occuparsi di arredamento o di macrobiotica, metter su una boutique o uno spettacolo, inventare dei gerghi specialissimi il cui significato appare inafferrabile all'eventuale lettrice.
Appare evidente, a questo punto, la precisa connotazione storica e politica dell'analisi di Joyce Lussu, che, proprio in quante tale, conserva la sua attualità nell'individuare i meccanismi e i/le responsabili dell'involuzione politico-sociale, con conseguente svolta a destra, a cui assistiamo oggi.
 Ma la forte e decisa collocazione politica, attraverso l'ideologia,  non manca di accecare la  Nostra fino a spingerla a celebrare i fasti della rivoluzione maoista e le conquiste delle donne in Cina e in Albania, proprio mentre un'ecatombe di infanticidi, stimata ad oggi sui 2.000.000 di vittime, decimava la popolazione femminile cinese. Oggi possiamo constatare con amarezza e rammarico che anche in Cina, come ovunque, la rivoluzione ha tradito le donne e sentirsi indicare la Cina come esempio di liberazione e superamento della famiglia patriarcale non può farci sorridere, né commuoverci, ma semmai intristire e arrabbiare.
Rabbia e tristezza sono proprio i sentimenti che scatenano le ultime pagine di Padre padrone padreterno, affidate alla scrittura di "amiche-consulenti"  che così concludono: Certamente domani saremo donne diverse, compagne e non più complici o nemiche di uomini diversi, in una società costruita insieme - o addirittura ricostruita sulle rovine - ma a misura di entrambi, con grandi spazi per gli incontri, per i giochi, per la vita comunitaria, per il lavoro creativo e materiale suddiviso e alternato secondo altri ritmi, come conquista e promozione e non più come condanna. Ovviamente, perciò, fuori e contro le strutture del profitto privato e del benessere di pochi privilegiati, tratto dalla fatica mal retribuita della maggioranza.
Come non piangere di rabbia a queste parole, oggi, nel 2012, che siamo stat* privat* anche della capacità di immaginare un futuro diverso e pron* accettiamo come necessario il giogo del padrone padreterno? 




Posted by Picasa

Nessun commento:

Posta un commento